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Altri due piastrini di militari italiani ritrovati in Russia

Altri due piastrini di militari italiani ritrovati in Russia
di Giovanni Di Girolamo

GiocondoUna nuova emozionante storia emerge dalla steppa russa, in corrispondenza del 77° anniversario della battaglia combattuta dalle truppe dell’Armir sulle sponde del fiume Don nel gelido inverno del 1942 e che sancì l’amara sorte di migliaia di giovani soldati, caduti sul suolo russo o catturati ed internati nei lager sovietici.
Si tratta del recupero di due piastrini militari appartenuti a bersaglieri del Terzo reggimento, Giocondo Piva e Giuseppe Ballani, entrambi reduci.
Il piastrino di Giocondo Piva è stato ritrovato nel villaggio di Kalmykov, dove il Terzo reggimento si rifugiò per trascorrere la notte successiva alla battaglia di Meshkovskaya e dove, stante l’accerchiamento delle truppe sovietiche e la mancanza di munizioni, fu costretto ad arrendersi nella mattinata del 21 dicembre 1942. Il piastrino è stato rinvenuto da Aleksander Perminov in un cumulo di cenere e rifiuti.
Giocondo Piva Giuseppe Ballani.

ballaniA sua volta, il piastrino di Giuseppe Ballani proviene dalla zona di Voronez. Questa località si trova sul cammino percorso dalle colonne di prigionieri catturati sul fronte del Don e diretti verso gli scali ferroviari e i campi di prigionia della ex-Unione Sovietica. È possibile che sia stato perduto da Ballani durante la marcia del davai o che sia stato recuperato altrove da un abitante della zona.
Il gruppo ARMIR, Ritorno dall’oblio, coordinato da Enia Accettura assieme a Cristiano Maggi, ha avuto il merito di riportare questi piccoli cimeli in Italia. Enia lavora a titolo volontario e, animata da grande passione, si prodiga per far sì che questi piccoli testimoni di storia vissuta non vadano perduti per sempre.
Bisogna altresì ringraziare alcuni cittadini russi (fra cui Aleksander Perminov) che consentono di portare alla luce testimonianze rimaste sepolte fino ad oggi.
Enia esprime viva commozione:
“Nonostante il tempo trascorso, spesso accade che figli e nipoti dei soldati dell’Armir mi chiedano notizie dei loro cari tramite i social networks, sperando che un piccolo segno alimenti un ricordo mai sopito. Il nostro lavoro ha l’unico fine di riportare alle famiglie notizie dei cari che partirono per la Russia e molti dei quali non fecero ritorno. La consapevolezza dell’estrema difficoltà nel recuperare questi piccoli cimeli e l’emozione delle famiglie ci confortano degli sforzi fatti”.
Sia Piva che Ballani vissero un destino simile. Furono internati nei campi di prigionia sovietici e ivi patirono indicibili sofferenze. Nei campi perirono migliaia di italiani per via della fame e delle malattie infettive, soprattutto nella prima metà del 1943.
Giocondo Piva, nato a Riese Pio X il 22 agosto 1922, contadino, apparteneva alla 2a compagnia del 18° battaglione, che era comandata dal capitano Checchini e che combattè a Meshkovskaya.
Piastrini di riconoscimento dei reduci Ballani e Piva2
Il piastrino di Giocondo Piva
Trasferito al deposito del Terzo reggimento dal 29 giugno 1942, Piva fu mobilitato con i complementi destinati a sostituire i bersaglieri che erano partiti con il CSIR nell’estate del 1941. Ritenuto inizialmente disperso in base al verbale di irreperibilità del 26 luglio 1943, secondo la documentazione dei memoriali russi Piva fu catturato il 21 dicembre e detenuto nell’ospedale da campo n. 1149 di Belaja Kholuniza, nel campo di prigionia n. 101 di Loino e nel campo n. 29 a Pakta-Aral. Nel viaggio di ritorno transitò nel campo n 69 di Francoforte sull’Oder, in Germania (poi Germania Est) dove fu ricoverato per qualche settimana perché ammalato. Rientrò nel nostro Paese il 15 novembre 1945. Per raggiungere il campo n.1149 dovette fare un brutto viaggio in ferrovia fino a Kirov, dove scaricavano i morti e poi proseguivano a piedi fino al campo.
Ballani Giuseppe, di Fioravante e Veronese Assunta, classe 1921, nacque a Sarego (Vicenza). Sulla base del contenuto del foglio matricolare, risulta essere stato catturato il 21 dicembre 1942. Rientrò dalla prigionia nell’autunno del 1945.
Come evidenzia Giovanni Di Girolamo, esperto della storia del 3° reggimento bersaglieri durante la Campagna di Russia e autore del libro “Prigionieri della Steppa” (Gaspari editore, 2019), il reggimento fu costretto ad arrendersi ai russi il mattino del 21 dicembre 1942, in seguito alla battaglia di Meshkovskaya: “I piastrini incarnano un valore simbolico e affettivo, rappresentano una flebile traccia che ci lega alle migliaia di giovani soldati italiani scomparsi sul suolo russo e inghiottiti dalla neve.
Piastrini di riconoscimento dei reduci Ballani e Piva
Il piastrino di Giuseppe Ballani
I piastrini dei reduci Piva e Ballani hanno seguito un percorso differente rispetto ai loro possessori. Probabilmente furono abbandonati all’atto della cattura o sottratti dalle guardie russe. Sia Piva che Ballani combatterono a Meshkovskaya una battaglia cruenta, essendo quella l’unica via che avrebbe permesso al reggimento di oltrepassare il fiume Tichaya e di defluire verso sud alla ricerca dei reparti precedentemente posizionati sui lati adiacenti. Purtroppo la marcia del Terzo terminò sulla collina di Meshkovskaya, davanti ad un campanile in fiamme. Ricevendo la lieta notizia Miro Piva, nipote di Giocondo, ha espresso la volontà di mettere insieme i tasselli delle vicende vissute dallo zio nel corso della guerra, di cui lo stesso non amava parlare se non in momenti particolari. Miro Piva aggiunge che lo zio raccontava di essere stato catturato dopo la battaglia di Meshkovskaya. Disse che, mentre stava andando all’attacco verso la chiesa con un bersagliere che lo precedeva, arrivò una raffica di mitragliatrice russa che uccise il bersagliere davanti, mentre lui sentì un colpo allo scarpone.
La chiesa di Meshkovskaya alla vigilia della battaglia
La chiesa di Meshkovskaya alla vigilia della battaglia.
I soldati vicini dissero che era arrivato l’ordine di ripiegare indietro e trovarono un ufficiale che, a sua volta, ordinò: “Dobbiamo ripiegare verso il paese dietro a questo!”, cioè a Kalmykov. Lì infatti furono poi fatti prigionieri tutti quanti il giorno dopo, ossia il 21 dicembre 1942. Al mattino del 21 appena svegliati si guardò lo scarpone e vide che un proiettile era entrato esattamente sul davanti della suola e, ripensandoci durante la prigionia, capì che se fosse stato ferito al piede non sarebbe sopravvissuto alla marcia del davai che fece con gli altri bersaglieri fino a Kalach, dove iniziava la ferrovia gestita dalla NKVD e che portava nei vari campi di prigionia. Aggiunse che il piastrino gli fu strappato dai russi al momento della cattura e fu pestato sotto i loro piedi nella neve, in segno di disprezzo davanti ai suoi occhi”.
Brevi ma molto significative le lettere che Giocondo Piva scriveva dal fronte ai familiari. Ne alleghiamo una del settembre 1942, in corrispondenza della sua partenza per il fronte russo. Nella lettera del 9 dicembre, una delle ultime inviate prima del tragico epilogo, si legge invece: “Sono al comando di compagnia. Dormo, mangio e bevo e tiro a campare. Sono portaordini. In gamba. Colla speranza di ritornare fra voi vi saluto caramente e vi bacio. Vinceremo. Buon Natale a tutti, Ricordandovi. Giocondo”.
Cartolina inviata da Giocondo Piva nel settembre 1942
Sono parole che somigliano a quelle scritte da molti altri soldati in quei giorni, da cui traspare una apparente calma, con cui essi cercavano di sfatare l’ansia. Questa trepida attesa fu presto sconvolta dall’offensiva Piccolo Saturno, che portò alla battaglia di logoramento e alla rottura del fronte nella notte sul 17 dicembre, in corrispondenza del settore tenuto dal II Corpo d’Armata e da alcuni reparti tedeschi. La successiva penetrazione delle truppe corazzate russe avrebbe aperto una sacca in cui rimasero impantanate le divisioni di fanteria italiane e da cui, con ripetuti sacrifici, riuscirono ad uscire notevolmente decimate. Il Terzo reggimento trovò la via sbarrata.
Cartolina inviata da Giocondo Piva il 9 dicembre 1942
Notevole la commozione di Miro Piva:
“Desidero ricordare mio zio e desidero che anche i miei figli conoscano il nostro passato familiare. Durante la prigionia mio zio Giocondo ha sofferto tanto, la fame e il gelo. Fu internato in vari campi, fra cui quelli di Belaja-Koluniza e Pakta Aral, in Kazakistan, dove fu condotto intorno al 1944 perché lavorasse nei campi di cotone. Quando tornò in Italia era gennaio ed era in condizioni pessime. Pesava trentasei chilogrammi ed era irriconoscibile per i suoi stessi familiari. Ha sofferto di incubi per dieci anni, ha vissuto con noi ed è venuto a mancare nel 2014. Oggi finalmente comprendo quanto difficile debba essere stata la sua vita. Quando gli venne comunicata la notizia che sarebbe dovuto partire, andò a trovare mio padre, che all’epoca dei fatti aveva 7 anni ed era ricoverato in ospedale per tifo. Medici e infermieri gli impedirono di entrare, nonostante le sue spiegazioni, adducendo il fatto che era giunto all’orario programmato per le visite mediche. Ma mio zio in un attimo di confusione riuscì a penetrare nella stanza e a salutare mio papà, dandogli un bacio sulla fronte. Era un uomo caparbio e testardo e probabilmente fu proprio questo suo carattere a salvargli la vita e a farlo tornare a casa. Avrebbe potuto evitare in qualche modo di partire per il fronte, ma non volle, non perché fosse spinto da ideali, ma perché forse aveva il vigore della gioventù e non lo spaventava il rischio. Al fronte armi ed equipaggiamenti scarseggiavano. Amava la sua famiglia ed era sempre disponibilissimo. Aveva una grande passione per la politica e talora si rammaricava del comportamento dei politici e delle violenze nella società. Credo che i suoi occhi avessero visto abbastanza sofferenza durante la guerra e la prigionia”.

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